Saturday 15 October 2011

Il fiume delle visioni


Il sole si abbassò sul mare e da bianco incandescente divenne di un rosso rabbioso, lasciando che l' oscurità avanzasse a portare un cambiamento sulle acque del grande fiume: i colori si fecero meno brillanti e i toni più cupi, la tranquillità più profonda e quasi silenziosa. Sulle basse colline della riva sinistra dell' estuario, nonostante il crepuscolo e una foschia lattiginosa che strisciava fuori dalla foresta, il sito della mostruosa città era ancora minacciosamente segnato nel cielo, col suo aspetto sepolcrale e il silenzio innaturale che la circondava.
Più in basso, lungo tutta la costa immota ed uniforme, la risacca lasciava un orlo di schiuma bianca sopra il fango imputridito delle rive, mentre le correnti spingevano ogni genere di detriti fuori e dentro il fiume o nelle acque ispessite di melma che invadevano i tratti più bassi della costa, e che con la bassa marea andavano ritirandosi scoprendo le radici aeree simili a trampoli di contorti alberi di jasquat e mangrovia, affondate nel limo grigio e nella melma verde.
Ely avanzò con passo strascicato sul ponte della Impavida, all' ancora in prossimità della foce fluviale in attesa dell' alta marea. Nella tranquillità marina il piccolo piroscafo beccheggiava lievemente. Si addossò alla murata, aspirando il fumo verdognolo della sua pipa di legno nero, osservando il fiume e la città sepolcrale. I suoi occhi inquieti scandagliarono le tenebre, inutilmente, alla ricerca di cosa non sapeva.
Nugoli di insetti volavano frenetici sulle verdi acque fosforescenti del fiume, o su tratti di acqua marina che risplendevano argentei per la presenza di qualche colonia di microrganismi. Di tanto in tanto un tonfo nell'acqua segnava un pesce, o qualche altra indistinguibile creatura, che guizzava fuori dal mare per catturare gli insetti.
Sui bassi colli la città morta spandeva nell' aria una sensazione innaturale di immobilità. Dovevano essere morti come mosche, lassù, pensò Ely. Caldo, nebbia, tempeste, malattie, esilio e morte. Morte nascosta nell' aria, nell' acqua, nei boschi? Da dove era arrivata la morte? Da quale direzione era giunta? Dall' Ovest, nascosta nelle tenebre notturne, oppure dall' Est, nei miraggi tremuli del calore opprimente del giorno? Era salita dal mare, oppure strisciata lenta fuori dei boschi, o discesa a valle trasportata dalle acque del fiume?
Cosa era accaduto realmente?
Voci basse e rabbiose giunsero a lui. Sospirò. Si preannunciava tutto molto difficile. Non sapevano a quali pericoli andavano incontro, ma la lotta non sarebbe stata solo contro la natura selvaggia ed ignota di quel continente inesplorato, bensì anche a bordo del piroscafo contro gli altri membri della spedizione. Ognuno di loro era pronto a competere e contendere con gli altri, ognuno alla ricerca di un mezzo di autogratificazione, rintracciabile solo nello screditare gli altri. Non ci sarebbe stata etica, nè morale. Erano senza freni.
Quale sarebbe stato il destino della spedizione?

La marea cominciò a salire prima dell' alba. Il comandante fece dare potenza ai due piccoli motori, lasciati accesi a basso regime già dalle ultime ore della notte, e la ruota a pale posta a poppa cominciò a battere le acque. Il piroscafo sussultò in avanti colpendo l' acqua con la prua appuntita, poi prese a muoversi fluidamente, acquistando velocità. Mentre la luce perlacea dell' alba si spandeva rapidamente su quella costa uniforme di foresta assediata dal mare passarono sotto la città sepolcrale.
Ely era sul ponte, e con lui c' erano gli altri due ricercatori della spedizione, Emat e Saiman. Tutti e tre osservarono in silenzio il colle roccioso, basso ma ripido, unica protezione della città, costruita sulla sua vetta su una spianata artificiale. I suoi palazzi esili e slanciati, pratici e privi di decorazioni, si stringevano assieme in silenzio. Parevano uno scheletro abbandonato al sole, un mucchio d' ossa calcificate. La pietra chiara con cui era stata costruita la città aveva subito un processo accelerato di sbiancamento di cui non se ne conosceva la natura. Un ripido terrapieno collegava la città d' altura col porto, costruito in un ampia insenatura disboscata appena fuori della foce del fiume.
-Come possono essere scomparsi senza lasciare traccia?- chiese Saiman.
Quella verità ineluttabile metteva a dura prova ogni mente raziocinante. Erano state fatte ogni sorta di congetture, da quando era stata scoperta la città vuota. C' era anche chi aveva negato tutto: parlavano di macabri scherzi, di cospirazioni egualitariste. Il governo aveva varato dure repressioni contro gli attivisti egualitaristi, il comandante del vascello che aveva riportato per primo la notizia era stato degradato e imprigionato come sovversivo. I reazionari ne avevano approfittato per praticare ogni tipo di recrudescenza in ogni caso che faceva loro comodo.
Per questi motivi la spedizione di ricerca era partita con tanto ritardo, ogni mente lucida vacillava davanti alla sconvolgente ed impossibile notizia della scomparsa di tremila cittadini nel nulla. Ma infine tutti avevano dovuto accettare i fatti per ciò che erano: la città era vuota, almeno tremila persone erano scomparse nel nulla, in un momento imprecisato dei tre mesi durante i quali, a causa delle cicliche tempeste marine, la colonia rimaneva isolata dalla madre patria. Era come se la vita vi si fosse estinta con repentina e subitanea globalità. Quando i marinai della spedizione di approvvigionamento erano sbarcati avevano trovato tutto all' abbandono pareva da anni: in quel clima un oggetto dimenticato dopo un solo mese invecchiava di un anno, ma tutto nella città pareva invecchiato di molti anni. Il comandante che aveva fatto la scoperta aveva paragonato la città alle catacombe del Deserto Faoriano: un calore incredibile si sprigionava dalle pietre calcificate e una patina di polvere bianca si staccava dagli edifici in rapido disfacimento; l' odore di putrefazione e marciume aleggiava nelle strade e nelle case, ma non si capiva se saliva dalla vicina foresta o se si sprigionava dalla città stessa.
La fine, però, doveva essere giunta improvvisa. A parte i danni fatti dal tempo, tutto era stato lasciato come a metà. Ovunque c' erano i segni delle attività quotidiane della città lasciate incompiute: secchi vicino ai pozzi e alle cisterne di acqua potabile, carri carichi di merci in mezzo alla strada o in procinto di entrare in un magazzino dai portali spalancati. Niente era stato toccato: né l' avorio né i metalli pregiati, né le pelli né il legname. Tutto faceva pensare che ogni forma di vita all' interno delle mura cittadine si fosse improvvisamente e senza preavviso dileguata.
-Non possono essersene andati senza aver lasciato tracce-, insistette Saiman.
Ely scosse la testa. -Non se ne sono andati. E non sono stati portati via.
Saiman ed Emat lo guardarono con rabbia e disprezzo. -La gente non scompare!- La voce di Emat era aspra e gutturale.
-Fin' ora no.
Scese il silenzio. Il piroscafo imboccò il fiume sospinto dall' acqua marina che vi si riversava e gli permetteva di oltrepassare senza rischi le insidiose secche dell' estuario, costituite da mutevoli depositi di fango fluviale.
Ely pensò all' unico indizio che era stato trovato nella città morta: negli uffici della Compagnia Fluviale c' era una grande carta geografica appesa ad una parete, sulla quale erano stati abilmente rappresentati con tratto elegante e colori pastello il percorso del grande fiume e i suoi affluenti, la fitta foresta e le paludi, i laghi e le pianure, fino al Confine Nord e ai Colli Metalliferi da cui si estraevano l' argento e gli svariati metalli utili per le leghe. E oltre un grande vuoto: quella era la Terra Sconosciuta, la Regione Inesplorata. Nessuno sapeva cosa vi fosse oltre la catena collinosa: nessuno era mai riuscito a raggiungere l' altro versante, nessuno vi aveva neanche mai provato. Non si sapeva neppure se il fiume diventasse innavigabile oltre il Confine Nord. Ora, in quel vuoto disegnato sulla carta, di un opaco bianco-latteo che così bene aveva rappresentato il mistero dell' ignoranza, si allargava una macchia nera, come se qualcuno vi avesse scagliato contro un calamaio di inchiostro. Sotto la macchia erano state vergate delle parole: QUI CI SONO LE TENEBRE.
L' opera di un folle oppure un sensato avvertimento sul luogo da cui giungeva il pericolo?
La Compagnia Fluviale non aveva mai avuto interesse a scoprire cosa c' era al di là dei Colli Metalliferi, non volendo investire uomini e risorse in un' avventura dal dubbio risultato distogliendoli da un profitto certo, e probabilmente questo era costato la vita a tremila persone che lavoravano alle sue dipendenze. Questo cinismo economico della Compagnia aveva provocato dure critiche, non solo da parte delle fazioni egualitariste ma anche da parte del governo e di alcune frange interne alla compagnia stessa. Così, infine, era stato deciso che la spedizione avrebbe dovuto raggiungere il Confine Nord, innanzitutto per stabilire quale fosse stato il destino delle stazioni commerciali dislocate lungo il corso del fiume. E poi? Era stata lasciata libertà di scelta: la missione stessa, in base a ciò che avrebbe trovato risalendo il fiume, avrebbe dovuto decidere se tornare indietro o tentare di scandagliare l' ignoto.

La navigazione sul fiume si rivelò lenta ed estenuante a causa del clima e della natura del fiume, il cui corso lento depositava banchi di sabbia e fango nei punti più improbabili, o celava sotto pochi centimetri di acqua limacciosa giganteschi tronchi d' albero impigliati nei fondali bassi. La prua rinforzata in metallo, proprio in previsione di questi pericoli, resisteva ad ogni urto, ma poi occorreva tempo e fatica per disincagliare l' Impavida, utilizzando corde e pali. Il tempo che si perdeva, la fatica che si faceva e le scosse che si propagavano in tutto lo scafo provocando cadute, piccoli incidenti e nervosismo, avevano indotto il comandante del piroscafo a decidere per una navigazione lenta e accorta.
Ely trascorreva le giornate in silenzio, ad osservare le rive, seduto sul castello del piroscafo. Emat e Saiman invece facevano lunghe discussioni, in cui si sprecavano congetture destinate a rimanere tali ancora a lungo, sulla natura dei nemici che abitavano oltre il Confine Nord, o sulla possibilità che una grande tribù di Inumani abitasse in uno dei punti inesplorati della foresta. Discussioni che finivano inevitabilmente in litigi furibondi. Quando non impiegavano così il loro tempo lo facevano cercando di sminuirsi l' un l' altro, in un perpetuo scambio di frecciate e insinuazioni, il cui scopo era far infuriare l' altro davanti all' equipaggio per renderlo ridicolo, cercando sempre di coinvolgere anche Ely in quella continua aggressione. Ma lui li ignorava e restava seduto, incurante della loro rabbia (paura? angoscia? e per cosa?), del caldo afoso terribile, degli insetti neri e colorati attratti dal suo sudore, delle loro punture e delle infezioni che gli procuravano. Un paio di punture avevano già fatto del pus, e fu obbligato dal medico di bordo a farsele incidere e medicare.
Sedeva sul lettuccio, perso nei suoi pensieri. Qualcosa che c' era in quell' aria gli si era appiccicato alla pelle insieme all' umidità stagnante. Lo aveva respirato e inghiottito con ogni boccone di cibo, aveva finito per entrargli nel sangue.
Sì, gli aveva detto il dottore, aveva un po' di febbre. Niente di allarmante, era normale in quel clima.
Seduto nella piccola cabina adattata ad infermeria Ely fissava il volto del dottore come imbambolato. Il suo monologo, mentre lo medicava, gli giungeva da sempre più lontano. Tra quelle quattro pareti di legno e lamiera il caldo era insopportabile. Il dottore muoveva le labbra senza emettere alcun suono, gli sembrava di avere le orecchie piene di acqua. Un velo grigio si distese davanti ai suoi occhi, la carne del volto del medico divenne grigia. La pelle prese a venir via a scaglie, i capelli a staccarsi a ciocche. Le labbra si seccarono, ritirandosi sulle gengive nere, da cui monconi di denti cadevano uno ad uno. Anche i bulbi oculari divennero due piccole palline nere e secche perse nelle profondità delle occhiaie vuote. Il calore parve salire rapidamente e quel volto devastato prese a sciogliersi. Iniziò a liquefarsi e cadere come cera, prima in rivoli, poi a pezzi interi. Ely si alzò come un sonnambulo, abbandonando quel processo visionario di distruzione e tornò a sedersi sulla sua sdraio sul castello di poppa.
Il giorno seguente, sul far della sera, ebbe un' altra visione. Stava fissando un grande albero di qumquayat che sporgeva sulle acque del fiume, indorate dal sole che si avviava al tramonto. Una lieve brezza smuoveva il fitto fogliame color smeraldo e i numerosi grossi frutti pendenti color arancione. A poco a poco il movimento delle fronde aumentò, fin quando Ely vide i viticci aggrovigliarsi come serpenti, per poi crescere con rapidità vertiginosa, cadendo verso il fiume a formare una fitta barriera verde che l' Impavida avrebbe strappato. Ma non appena le fronde ebbero toccato l' acqua accadde qualcosa di inaspettato. Il movimento frenetico dei viticci si arrestò e le foglie presero a seccare una dopo l' altra su per i viticci pendenti fino ai rami più alti e robusti. E mentre le foglie secche cadevano come pioggia e coprivano l' acqua, non più dorata ma verde cupo adesso che il sole era scomparso dietro le cime degli alberi, i frutti cominciarono a esplodere spargendo una sottilissima polvere grigia. Quando non rimase più una sola foglia né un solo frutto il processo di invecchiamento attaccò i giganteschi rami. La corteccia si disfece e cadde, mentre segatura gialla cominciava a spandersi in una nube nell' aria.
Poi il piroscafo passò sotto l' albero, Ely lo perse di vista e la visione si interruppe.

Toccarono tutte le stazioni commerciali sulle due sponde del fiume e anche alcune di quelle sorte poco addentro agli immissari maggiori. Ovunque si presentò la stessa scena di abbandono in cui era stata trovata la città costiera. Piroghe, canoe e battelli a pale erano alla fonda oppure caricati in parte di merce da spedire giù lungo il fiume. In ogni stazione la vita era scomparsa all' improvviso e, probabilmente, senza accorgersene.
Ma in un paio di occasioni Ely ebbe l' impressione che una seconda immagine andasse a sovrapporsi a quella reale. Furono sempre visioni fugaci, ma nitide, anche se si presentavano a tratti e subito scomparivano, per riapparire dopo poco e nuovamente dileguarsi. Vedeva il terreno bruciato, come un fuoco fosse stato acceso al centro di ogni accampamento e si fosse allargato in un cerchio sempre più grande, consumando tutto ciò che incontrava e lasciandone solo lo scheletro annerito.
Giorno dopo giorno Ely era sempre più assorto nei suoi pensieri. Si era accorto che ogni persona a bordo del piroscafo faceva intenzionalmente quanto più rumore poteva: chi cantava, chi urlava e chi parlava a voce alta anche quando non era assolutamente necessario. Tutti cercavano di mantenersi sempre impegnati e i loro occhi aveva acquistato una vacuità allarmante. Ma di tanto in tanto, in quei rari casi di calma che cercavano così vivamente di evitare, il loro sguardo si fissava su qualcosa in particolare, ed allora i loro occhi si aprivano su una angoscia interiore a cui Ely non riusciva a dare spiegazioni. E tutti questi fenomeni avevano una forza maggiore in Emat e Saiman.
Ely giunse alla conclusione di non essere il solo ad avere visioni, anche se certamente le sue erano più frequenti e prolungate. Tutti, eccettuato lui che era il solo a bordo a cercare un po' di solitudine e di quiete, temevano il silenzio e di restare soli. Forse proprio perché le visioni si presentavano in quei momenti. Ma erano poi visioni? Non poteva essere il contrario? Cioè che la visione fosse ciò che loro definivano "reale", e che il suo velo si sollevasse quando un uomo rimaneva solo con se stesso per mostrargli ciò che celava? E poi cos' era a creare quell' angoscia che vedeva negli occhi dei suoi compagni di viaggio? Solo le visioni sembrava difficile che potessero farlo. E lui, mostrava lo stesso orrore negli occhi? Probabilmente no, a giudicare dalla rabbia con cui Emat e Saiman si accanivano contro di lui.
Gli abitanti della città e delle stazioni commerciali, avevano provato anche loro quella terribile angoscia?

Il mattino seguente Saiman irruppe nella sala mensa.
-Emat è scomparso!- annunciò tutto trafelato e non poco impaurito.
Tutti i presenti, fra cui il comandante del piroscafo, lasciarono la sala mensa per seguire Saiman. Solo Ely non interruppe la sua colazione per unirsi alle ricerche. Raggiunse gli altri con suo comodo, raggiungendoli sul ponte principale, dove Saiman e il comandante traevano le conclusioni di un' infruttuosa ricerca.
-Deve essere stato aggredito da qualche animale acquatico e caduto fuori bordo-, stava dicendo Saiman. -O forse è stato colpito da una freccia scagliata da riva.
Il comandante rispose scuotendo la testa. -Improbabile. Questa foresta è spopolata: non c' è nessuno che può aver tirato una freccia. E con che razza di arco, poi? Guardate quanto sono lontane le rive. E nel caso dell' aggressione di un animale avremmo sentito le grida o per lo meno il rumore del corpo che cadeva in acqua.
"Potrebbe essersi sentito male e caduto fuoribordo, ma anche in questo caso le sentinelle avrebbero sentito il rumore del corpo che cadeva in acqua.
"Per quanto la cosa sia senza senso deve aver lasciato la nave volontariamente.
-Cosa? Ma...- cominciò a balbettare Sayman.
-Non ha lasciato la nave-, interloquì Ely. -E niente e nessuno lo ha aggredito. Si è estinto.
-Ma cosa dici!- inveì aspramente Sayman. -Sei impazzito per il caldo.
Ely sorrise. -E' andato incontro allo stesso destino della gente della colonia: loro sono scomparsi, Emat pure.
E senza aggiungere altro tornò a sedersi sulla sua sdraio.

Il calore andava aumentando di giorno in giorno. L' angoscia, sul piccolo battello, era aumentata anch' essa, fino a divenire palpabile. Ely aveva sul corpo nuove infezioni che non si era fatto curare. Chissà come era arrivato alla convinzione che l' apatia, nei confronti di quegli attacchi portatigli dall' ambiente circostante, fosse la migliore forma di difesa da esso. Seduto sulla sua sdraio, perso in riflessioni pericolose, si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare per scrollarsi di dosso quel torpore. Ma era molto più semplice arrendervisi. E forse era anche meglio.
Pensava alla città sepolcrale, la cui fine era giunta così inaspettata. Una città ricca ed operosa, abitata da gente motivata che aveva sfidato e vinto il clima e i pericoli di un continente sconosciuto e inospitale. E quelli che si erano spinti in su lungo quello stesso fiume che lui stava navigando ora: ancor più duri e decisi, pronti a tutto e in grado di affrontare ogni ostacolo. Avevano combattuto contro le belve feroci, le malattie e la foresta con le sue paure. Avevano superato tutti quegli ostacoli e poi, improvvisamente, erano scomparsi nel nulla. Nel nulla.
Un pomeriggio, improvvisamente dietro un' ansa, il fiume si aprì in un lago, la foresta si allontanò sui lati e le Colline Metallifere si stagliarono rosse in un orizzonte liquido. Davanti agli occhi di Ely la foresta di smeraldo pareva ondeggiare e contrarsi, mentre il corso del fiume pareva invertirsi e le sue acque assumere una colorazione arancio, un arancione sempre più cupo che confluiva nel rosso malato dei colli. L' azzurro intenso del cielo lo abbagliava, ferendogli gli occhi, e il sole era una stella bianca incandescente.
Ely inalò l' aria pesante in un profondo respiro. Sbatté le palpebre e un alone più chiaro circondò il sole, si contrasse e allargò in un ritmico pulsare, fin quando tutta la stella parve palpitare a ritmo del battito del suo cuore. Poi il sole cominciò un balletto folle che gli fece percorrere il cielo da un orizzonte all' altro in una sequenza di traiettorie spezzate.
Fin quando toccò le cime dei Colli Metalliferi ed esplose come una bolla di sapone.
Ely sbatté le palpebre più volte, chiedendosi a cosa fosse dovuto il velo nero cosparso di puntolini colorati che aveva davanti agli occhi. Infine si rese conto che era scesa la notte. I marinai cantavano, qualcuno suonava uno strumento. Ancora la paura di stare soli con se stessi.
Sotto il tocco delle dita sentiva grosse croste screpolate là dove le punture degli insetti si erano infettate.

Era quasi il tramonto del giorno seguente alla visione del sole danzante quando raggiunsero i Colli Metalliferi e la stazione mineraria nata alle loro pendici. Si trattava di un folto gruppo di edifici costruiti con mattoni cotti al sole, a uno o due piani. Un battello era ormeggiato al molo. Oltre gli edifici si snodava una strada bianca che portava alle miniere.
Non c' era anima viva.
-Anche qui-, fu il laconico commento di Saiman, in piedi sul ponte dell' Impavida insieme agli altri. -E le miniere saranno nelle stesse condizioni.
Una lieve brezza increspava l' acqua del fiume e i campi d' erba che circondavano la stazione.
-Credete che qui troveremo qualche traccia di ciò che è disceso lungo il fiume?- chiese poi al comandante.
-Non disceso-, rispose questi. -Risalito.
-Che intende dire?
-Non hai notato che più risaliamo il fiume più i segni di abbandono sono recenti?- disse Ely. -Qui, addirittura, sembra risalire tutto a pochi giorni fa.
"Forse fra i colli c' è ancora qualcuno, oppure i minatori stanno scomparendo proprio in questo momento.
-La gente non scompare!- Saiman quasi urlava, pieno di rabbia.
-In ogni caso-, s' intromise il comandante, -il pericolo deve essere appena oltre quei colli. E io non ritengo che questa spedizione sia in grado di affrontarlo.
Ely ebbe un tuffo al cuore. -Cosa dice comandante? Non vorrà tornare indietro?
-Certo che torneremo indietro-, ringhiò Saiman. -Sarà l' esercito ad affrontare il nemico.
-Ma non capite?- Ely fissava entrambi con occhi sgranati. -Non c' è nessun nemico fisico. E' qualcosa d' altro e noi dobbiamo scoprire cosa. Dobbiamo! Se torniamo indietro ora subiremo la stessa sorte di tutti loro.- Ed abbracciò con un gesto della mano la stazione vuota e i colli.
-Non dire assurdità-, lo redarguì Saiman.
-Pensate ad Emat-, urlò rivolto alle loro schiene.
Ma non lo ascoltavano.

Stava già facendo buio, e mentre il battello manovrava per girarsi l' oscurità si infittì. Nel momento in cui l' Impavida ripartiva a piena forza Ely si lasciò scivolare fuori bordo.
Avrebbero pensato che, come Emat, anche lui era impazzito per il caldo, e in un momento di particolare follia aveva abbandonato il battello andando incontro a morte certa. Meglio la morte che l' estinzione.
Nuotò fino a riva, arrampicandosi su per l' argine fangoso, tra cespugli d' erba tagliente, radici aeree e liane urticanti. Si avviò in direzione dei Colli Metalliferi e camminò per tutta la notte, fino alla stazione mineraria e oltre. Il mattino seguente passò davanti ad una miniera posta vicino al fiume ma la ignorò. Camminò tutto il giorno sotto il sole cocente, bagnandosi nell' acqua del fiume a periodi regolari.
La notte successiva dormì, rimettendosi in marcia all' alba. Se mangiò qualcosa non lo seppe nemmeno lui, beveva l' acqua fangosa del fiume quando vi si lasciava cadere e si rotolava nel limo appiccicoso delle rive perché il fango formasse sul suo corpo uno strato protettivo dal calore.
Scese nuovamente la notte, poi tornò ancora l' alba. Il paesaggio intorno a lui era cambiato. Non più la fitta foresta impenetrabile ma boschetti che crescevano tra le ondulazioni del terreno, alternate ad ampi campi pianeggianti. Aveva raggiunto gli ultimi contrafforti della catena di colline rocciose e vi si inerpicò.
Quando giunse in vetta vide le tenebre.
QUI CI SONO LE TENEBRE.
Le parole scritte sotto quella macchia d' inchiostro, si rese conto, si erano impresse indelebilmente nella sua anima. Gli avevano trasmesso tutta l' angoscia e la paura con cui il loro autore le aveva vergate.
Le tenebre. Ribollivano furiose da orizzonte ad orizzonte, sollevandosi per collassare in se stesse continuamente, continuamente rimescolate da venti fantasma. I suoi occhi vi si fissarono, cercando di penetrarle. Le loro onde lambivano il promontorio di roccia rossa da cui le guardava. La luce dei suoi occhi si spense d' improvviso, urlò senza emettere alcun suono e cadde. Cadde in avanti, cadde dentro se stesso. Precipitò dentro un tunnel verticale che sapeva essere la sua spina dorsale, precipitò attraverso tutto il ribollire delle tenebre.
Poi uscì da un' apertura nei suoi stessi lombi e la sua caduta si arrestò. Udì le voci di tutti coloro che erano scomparsi, vide i loro nervi distesi ed intrecciati a formare una gigantesca ragnatela. Sul suolo bruciato e isterilito li vide uno per uno, tronchi sbranati che come serpenti si inalberavano muovendosi su spine dorsali messe a nudo: lottavano, mordevano, cercavano di passarsi avanti gli uni agli altri come per arrivare primi a qualcosa. Solo che alla fine della terra bruciata non c' era niente. Soltanto un punto dove le tenebre erano ancora più nere.
La ragnatela di nervi in cui si era impigliato lo teneva sospeso appena fuori della portata di quegli esseri umani semidivorati che cercavano di ghermirlo. Ma stava cedendo e andava abbassandosi. Cercando scampo si accorse che a sorreggerlo erano i suoi stessi nervi, fuoriusciti dalle sue carni per intrecciarsi con gli altri ed ancorarlo a rocce ed alberi.
Un bisbiglio di voci antiche salì dal profondo del suo inconscio, lo sfiorò come un battito d' ali d' insetto, e comprese. Guardando in basso si lasciò cadere, verso quelle mani adunche e quelle bocche fameliche. Il bisbiglio di voci divenne un vento e un turbine, che lo sollevò lontano dal pericolo per depositarlo in un' ampia pianura da cui le tenebre fumose erano state spazzate via.
Stupefatto si guardò intorno. La pianura erbosa si stendeva a perdita d' occhio, percorsa dal sinuoso fiume dorato. Lontano, un gigantesco lago scintillava sotto il sole. Conscio che le tenebre si erano aperte davanti a lui, si erano aperte per lui, mosse un passo su quella pianura verde.
Sapeva che l' Impavida e tutta la spedizione erano già scomparse, estinte. E così sarebbe accaduto ad altre spedizioni che certamente sarebbero seguite. Sarebbe successo ad ogni essere umano, prima o poi: non importava che raggiungessero fisicamente le tenebre su quel continente. La loro stessa vita, il loro modo di vivere, progrediva passo dopo passo verso le tenebre che ci sono all' inizio e alla fine di ogni cosa.
Ma bastava accettarle, smettere di lottare contro se stessi e dalle proprie tenebre si riemergeva.
Guardò verso il lago, incamminandovisi. Laggiù, forse, c' erano altri uomini. E forse no. Capì che non aveva veramente importanza. Dopo pochi passi prese a correre.


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