Sunday 30 October 2011

Father?






Scams



Stupidita' e Perdono / Stupidity and Forgiveness

La stupidita' e' un peccato che non merita perdono. Tutti nasciamo con delle capacita', magari una sola, ma mai completamente privi. Il rifiuto di usare cio' che possediamo, per noi o per gli altri, questa e' la stupidita'. E persone cosi' non meritano niente.

Stupidity is a sin witch does not deserve forgiveness. All we were born with some skills, maybe just one, but never without at all. To deserve to use what we own, for us or other people, this is stupidity. And such people deserve nothing.

Thursday 20 October 2011

island swans





Nell'aria / In the air

Qualcosa sta salendo nell'aria,
Crudele come la bellezza,
Dolce come odore di foglie di pioppo.
Amaro e freddo come l'odore di un lento
                                   fiume profondo,                                                                        
Caldo come il sole d'autunno sulla pelle.
E' nostalgia dei miei monti, dove il faggio
                 affonda le radici nella pietra.
Desiderio che un nuovo amore getti via
                                              l'antico.

Something's rising through the air,
Cruel as the beauty,
Sweet as aspen leaves scent.
Bitter and cold as deep slow river smell,
Warm as Autumn sun on the skin.
It's homesickness of my mountains, where 
     the beech tree has its roots in the stone.
Yearning that a new love throw away the 
                                                old one.

LA CRISALIDE

       
 La stanza è buia. Solo le luci della strada, insegne al neon e fari d' auto, penetrano attraverso la veneziana alla finestra. Delineano vagamente i contorni di alcuni mobili. Uno deve essere una vetrina, perché le luci si riflettono sui vetri degli sportelli. Un altro, forse, è un divano. Tutto il resto della stanza è celato nel buio.
Improvvisa appare una fiamma. E' di un accendino. Illumina la mano che la regge, piccola e delicata, dalle unghie curate. E' la mano di un uomo, anche se la pelle è liscia. La fiamma delinea appena il divano. Si capisce che ci sono altri mobili, ma la luce non è abbastanza per capire di che tipo. Qualcosa si muove sul pavimento. E' grosso. Si ode un fievole gemito, soffocato. Quasi un singhiozzo. La fiamma scompare e la stanza torna nel buio. Un raschio e la fiamma si riaccende. Nel suo alone compare anche l'altra mano, la sinistra. La mano del diavolo, era chiamata un tempo. A torto? Questa regge un rasoio da barbiere. La mano scompare, un lieve rumore e torna nella luce. Adesso regge un bisturi. Scompare e riappare nuovamente, stringendo un coltello da caccia, lungo e robusto. La fiamma si spenge e di nuovo la stanza è nel buio.
Poi, improvvisa arriva la luce. Il click di un interruttore risuona nel silenzio e le lampade illuminano la stanza, scacciano i riflessi colorati dei neon. C' è un divano, rivestito di quella stoffa ruvida che fa prudere la pelle. Il mobile è effettivamente una vetrina. Tre ante, fuori moda, piena di ninnoli privi di gusto. C'e' anche un poltrona, messa ad angolo rispetto al divano. Rivestita della stessa stoffa. In mezzo alla poltrona e al divano un basso tavolino di metallo dal ripiano di vetro. Nel mezzo, sopra un centrino, un posacenere di cristallo. Nessuno deve averlo mai usato. Sul fondo si è formata quella crosta di polvere rinsecchita che arriva dopo anni di pulizie negligenti.
C' è qualcos' altro vicino al divano. Una massa enorme, stesa fra divano e tavolino. E' una donna. E' così grassa che fa sembrare gli spazi più piccoli di quello che sono. Le mani sono legate all'altezza dei polsi. Anche le caviglie. Con nastro adesivo, quello marrone da pacchi. E' stato usato anche per chiuderle la bocca. Gli occhi sono sgranati, rossi per il pianto. Fissano senza quasi mai chiudersi un punto a quarantacinque gradi rispetto a lei.
Un uomo entra nel campo visivo, con un semplice, breve passo. Non è alto, indossa un impermeabile grigio, ha capelli biondo chiaro che scendono in grossi boccoli ai lati del viso dalla pelle liscia. Ha una espressione quasi fanciullesca, ma le labbra sono tumide e bagnate. Fanno pensare ad alito caldo, spiacevole. Fanno pensare ad odore di biscotti. Gli occhi sono grigi, hanno un che di vuoto.
Con un sospiro rivolto alla donna sul pavimento l' uomo si toglie l' impermeabile, lo getta fuori campo. Si arrotola le maniche della camicia.
-Sai, mia cara-, dice con voce di un' ottava troppo alta, -tutti portiamo una maschera. O per proteggerci o perché qualcuno ce l'ha imposta.
Scuote la testa, mentre abbassa gli occhi sulla manica che sta arrotolando.
-Io oggi ti libererò dalla tua maschera. Porterò alla luce ciò che veramente sei.
Allunga la mano all' indietro. Adesso stringe il rasoio. Fa un passo avanti, si china sulla donna. Questa vuole dibattersi, ma non ne ha le forze. Si agita appena.
-Non lottare-, dice l'uomo bloccandola con un ginocchio piantato sul petto. -Lo faccio per il tuo bene.
La afferra al mento, tenendole ferma la testa. Le espone la gola. Il movimento del rasoio è rapido. Preciso. Da un lato all'altro della gola. Compare una linea rossa, il sangue comincia a scorrere. Gli occhi si sgranano, perdono velocemente focalità. Un singhiozzo si forma a metà nel petto della donna. Un ultimo fremito, poi il grosso corpo rimane immobile. Gli occhi aperti sono fissi al soffitto.
Con movimenti esperti l' uomo elimina i legacci di nastro adesivo. Poi passa ai vestiti. Pochi tagli precisi e gli abiti sono fatti a pezzi ed eliminati. Il cadavere adesso è nudo. L'uomo si ferma. Guarda con occhio critico il corpo su cui sta per mettersi all'opera. Si muove deciso. Lascia il rasoio, prende il bisturi.
Afferra con una mano una delle grosse, pendule mammelle. La recide con pochi movimenti precisi, esponendo il tessuto adiposo. Se la getta dietro la schiena. Colpisce il pavimento con un tonfo sordo. Afferra l'altra mammella. Stessa precisione, anche la seconda mammella viene gettata alle spalle. Il bisturi inizia a tagliare a metà del petto, verticalmente. Espone lo sterno. Aiutandosi con una mano inizia a staccare il tessuto muscolare dalle costole. E' abile. Indice di grande esperienza. Il lato sinistro del petto della donna è staccato dalle ossa e girato come la pagina di un libro. Passa a quello destro. Qui il lavoro è un po' impreciso, perché deve usare la destra per maneggiare il bisturi. Quando ha finito posa il bisturi sul tavolino e prende il coltello. Comincia a lavorare sull' attaccatura delle costole allo sterno, rimuovendo i legamenti, spezzando la cartilagine. Una ad una scalza le costole dall' incavo in cui sono alloggiate, poi usando le mani le forza per aprire la gabbia toracica.
Quando arriva all' ultima è sudato. A forza stacca lo sterno e lo tira via. Si ferma per riprendere fiato. Gli occhi della donna sono spalancati, lo fissano pieni di paura. L' uomo si terge il sudore dalla fronte con l' avambraccio. Con un sospiro allunga una mano e la passa sugli occhi del cadavere, abbassandogli le palpebre. Ma un attimo dopo quelle si sollevano di nuovo e la donna torna a fissarlo. Distogliendo lo sguardo da quegli occhi spalancati, l'uomo riporta la sua attenzione al corpo che sta sezionando. Riprende il bisturi e comincia a lavorare sulla mascella. Taglia via la carne dall' osso scoprendo le articolazioni temporo-mandibolari. Quindi taglia le labbra, prima il labbro inferiore, poi quello superiore. La chiostra giallastra di denti irregolari è messa a nudo. Posa il bisturi e riprende il coltello. Lo appoggia alla base del naso e con un solo movimento lo asporta. Quindi torna al bisturi. Incide dai seni nasali al taglio effettuato per togliere il labbro superiore. Poi dai seni nasali alla sommità del cranio, dividendo il cuoio capelluto dal teschio per portare alla luce la sutura sagittale. Lavora intorno agli zigomi, alle arcate sopraccigliari, tagliando via le palpebre, e pelle e carne della faccia si staccano come una maschera, aprendosi a destra e sinistra fino alle orecchie. Il teschio ghigna al suo carnefice. Col bisturi tira due linee rosse che vanno dagli angoli della bocca al taglio che ha ucciso la donna, Posa il bisturi e riprende il coltello. Forza la mandibola con la mano destra per aprirla e spinge la punta della lama nell' articolazione, fino a svellere l' incastro delle due ossa. Ora la mandibola pende sul suo lato destro. Svellerla anche sul lato opposto è più semplice. Inizia a tirare, i tessuti si strappano e cedono, mentre col coltello taglia i legamenti più robusti e parte del palato. Con un ultimo strappo la mandibola si divide dal resto del corpo, la lingua ancora attaccata insieme ad un moncone di trachea, cordoni di vene e la carne della gola.
Con un sorriso soddisfatto l' uomo contempla la sua opera ancora a metà. Si comincia a vedere qualcosa. Qualcosa che non ti aspetteresti di vedere. Lanciata oltre il divano la mandibola passa a tagliare il ventre flaccido di rotoli di grasso. Usa il coltello, perché la lama del bisturi non è abbastanza lunga per tagliare attraverso lo spessore del grasso addominale. Fa attenzione a non toccare gli organi interni. Gli piace l' odore del sangue. Quello della merda no. L' addome è tagliato fino al pube, ne rovescia le due metà e scopre l'ammasso degli organi interni. Il sudore adesso gli infradicia la camicia, il respiro è faticoso. Si ferma a riprendere fiato.
In quel mentre qualcosa si muove. Qualcosa sotto la massa di fegato ed intestini. Ci sta mettendo troppo tempo. Lei inizia a soffrire. Rinfocolato da nuova energia riprende il lavoro interrotto. Posa il coltello e a due mani tira fuori gli intestini, facendoli scivolare sotto il tavolino di vetro. Svuota tutta la cavità addominale, coi vari organi che escono più facilmente di come dovrebbero. Afferra i polmoni, due masse rosate sgonfie, e le strappa letteralmente fuori dal corpo. Vengono via con un risucchio. Si solleva in piedi, coi polmoni nelle mani. Vene e parte dell' apparato digerente pendono dalla massa rosa e strisciano sul pavimento quando fa due passi. Pendono come la coda colorata di un aquilone. Con uno splash l' aquilone colpisce il pavimento.
In piedi, l' uomo si concede solo un attimo per osservare ciò che sta venendo alla luce. Ora che la gabbia toracica è aperta, le cavità interne vuote degli organi prima contenutivi, è apparso un secondo corpo racchiuso nel primo. Questo corpo si agita debolmente, in sofferenza.
Rapido l' uomo inizia a lavorare sul teschio, la parte più ardua. Non ha più molte energie, deve finire prima di essere del tutto esausto. Comincia con la sutura saggittale, la parte più difficile. Vi punta la lama del coltello, prememdo e sforzando, ruotandola nei sensi opposti nel tentativo di scavarvi un' apertura. Un lieve crick gli dice che è riuscito a far entrare una parte infinitesimale della lama. Fa maggiore forza e la punta affonda un altro poco. Quindi inizia a far leva ruotando il coltello dentro le due metà della scatola cranica. Si apre un poco di più la strada e la lama affonda dell' altro. Deve stare attento a non affondarla troppo, però. Solo pochi centimetri, poi la sposta più avanti e ripete l' operazione. Questa volta l' osso emette un crack ben udibile. Con tutta la sua forza ruota la lama nell' osso. L' acciao geme, si torce e si piega. E' vicino a rompersi. Ma l' osso cede per primo. Fra scricchiolii e rumori liquidi la calotta cranica si divide in due.
Con perizia allarga la spaccatura, una frattura si allunga fino ai seni nasali. Proseguendo nei seni nasali con la punta del coltello incrina l' osso della mascella. Ficca il coltello in mezzo agli incisivi, lo torce e prima uno, poi anche il secondo saltano via dagli alveoli. Forza la lama negli alveoli, scavando. Una seconda frattura si fa strada verso la prima, la manca di pochi millimetri. La lama è ben dentro l' osso mandibolare. Basta una forza minima per rompere definitivamente la mandibola. Fra schizzi semiliquidi si divide nel mezzo. Lascia cadere il coltello ed afferra le due metà del teschio con le mani, allargandole. Con uno schianto finale si aprono, rivelando un secondo volto avvolto da una placenta sporca di sangue e materia cerebrale che cola in liquidi rivoli grigi.
Rilasciando tutta l' aria nei polmoni l'uomo quasi si affloscia. Poi si riscuote, a fatica. Non ha ancora finito. Inizia ad aprire le braccia. Taglia i muscoli, recide i nervi, spacca le cartilagini e divelle le articolazioni. Apre tutto il primo braccio fino al palmo della mano. I tendini tagliati schizzano via come corde di chitarra spezzate. Si arricciano su se stessi, neri e sottili. Poi apre anche il secondo braccio, per passare alle gambe. Seziona le grosse cosce flaccide, spezza le rotule per aprire le gambe all'altezza delle ginocchia. Divide la tibia dal perone, l' astragalo dal calcagno e dallo scafoide.
Infine il nuovo corpo è completamente visibile. Sul viso, indefinito sotto la placenta, la sofferenza è palese. Con cautela, usando appena la punta del coltello, incide la membrana. Esce un liquido incolore. La punta del coltello è smussata. Allarga lo strappo, il liquido viscoso esce a fiotti impregnandogli i vestiti. La placenta è completamente strappata. La ragazza che era celata nel cadavere ha un singulto, tossisce. Gli occhi si aprono di scatto quando aspira il primo doloroso respiro. Verdi e profondi, bellissimi. Si sbarrano al mondo che vedono per la prima volta, come quelli del cadavere erano sbarrati al mondo che vedevano per l' ultima volta. Tossisce. Inizia a respirare regolarmente, con sempre meno fatica.
L' uomo è spossato. Appoggia il pugnale sul tavolino. Sorride. La sua opera è compiuta. Gli occhi smarriti della ragazza si fissano su di lui. Ancora lei non capisce. Cerca di alzarsi. Lui allunga le mani e la aiuta. Lei è bellissima. Il corpo dai muscoli ben disegnati è perfetto nelle proporzioni. L' intelligenza brilla negli occhi verdi. I capelli bagnati sono appiccicati ai lati del volto ovale e simmetrico. Con difficoltà lei si tira su, esce dai resti smembrati del corpo che la racchiudeva. L'uomo la aiuta a sedersi sul divano, le si siede accanto. La guarda con orgoglio e felicità.
La ragazza chiude gli occhi e sospira. Un singhiozzo le sale dalle profondità del petto. Deglutisce. Tirando un respiro profondo apre gli occhi, scuote appena il capo. Allarga le braccia verso l'uomo. Gli occhi di lui si illuminano, il sorriso si allarga. E' felice. Affonda in quell'abbraccio e lo ricambia. Lei deglutisce ancora, stremata. I suoi occhi si riaprono. Sono duri. La bocca ha le labbra serrate in una linea decisa.
-Troppo...-, gli sussurra vicino ad un orecchio. Una mano si allunga sul tavolino. -Troppo...-, ripete in un sussurro aspro. La sua mano afferra saldamente il coltello e lo solleva. -Troppo dolore!

Tutto è nero. Si sente solo lo strappo della carne lacerata.

Tuesday 18 October 2011

Il silenzio nel cuore

Jad tirò un sospiro di sollievo quando la sfera bianco-rosata del pianeta Eria comparve alla sua vista. Il silenzioso vuoto dello Spazio gli stava logorando lo spirito, e anche alla pulmonaria, la sua cavalcatura alata, stava facendo lo stesso effetto, come si notava dalla stanchezza dei battiti delle carnose ali triangolari. La pulmonaria era un animale cieco, privo di occhi, ma avvertì la vicinanza del pianeta madre e lo fece capire sbattendo la coda e agitando il lungo collo serpentiforme che reggeva l' ovale del capo diviso dalla larga bocca priva di denti.
Sorridendo rassicurato Jad avviò i preparativi per il rientro nell' atmosfera, controllando una per una tutte le cinghie, le fibbie e i nodi della sua armatura, della sella e di quelle che assicuravano lui e il carico alla pulmonaria. Intanto nella bolla magica, prodotta dalla pulmonaria stessa, l' aria e la Musica che avevano tenuto in vita lui e l' animale nel viaggio alla Città Lunare e ritorno, e che con la stanchezza erano andate attenuandosi, tornarono a rinvigorirsi.
Toltosi un guanto Jad tastò i polmoni esterni della cavalcatura, due tratti di spugnosa carne rosata collocati fra l' attaccatura superiore delle ali e la base del collo, dalle cui numerose bocche ovali fuoriuscivano l' aria e la Musica. Sotto il suo tocco i polmoni risultarono cedevoli, segno del quasi esaurimento della capacità magica della pulmonaria. Quell' animale non avrebbe compiuto altri viaggi verso la luna.
Il rientro nell' atmosfera fu accompagnato da un leggero senso di vertigine, mentre le nubi rosa e profumate si aprivano al passaggio del volatile. Poi la vista di Jad si stabilizzò mettendo a fuoco il continente di Evulion, con le sue quattro penisole, e fu avvolto dalla dolcezza della Musica che giungeva dal cuore del pianeta e che era la vita stessa del pianeta e di tutte le creature che lo abitavano. La pulmonaria planò velocemente fino ad un' altezza di tre chilometri, attratta dalla forza di gravità, stabilizzandosi al di sopra della sterminata Foresta di Visialind. Jad preparò le armi e tenne sotto osservazione il paesaggio. I Cavalieri delle pulmonarie non avevano il compito di guidarle, perché quelle bestie si muovevano seguendo le emissioni musicali prodotte dai vari luoghi del pianeta: in questo caso le emissioni della guglia della Torre Centrale di Crimelon. L' unico problema era il volo diretto e stolido di quelle bestie, che in caso di attacco non tentavano neanche di difendersi. Così toccava ai loro Cavalieri provvedere a difenderle.
Jad sorvolò tutta la Foresta di Visialind con l' arco teso e la freccia incoccata. Fu fortunato in quel viaggio: solo alle pendici dei Monti di As, all' imboccatura del Canale, la stretta valle tagliata in quei monti marmorei da una magia sconosciuta in epoche remote, scoccò una freccia contro un esaron, un lontano cugino delle pulmonarie, nero e coriaceo, dotato di due tentacoli terminanti in bocche succhia sangue. La freccia incantata centrò senza difficoltà il bersaglio a una distanza maggiore di quella che l' arco normalmente avrebbe potuto raggiungere. L' esaron ferito si ritirò, cosa assai rara con quelle bestie così aggressive, che di solito proseguivano il loro attacco fin quando non venivano uccise oppure ottenevano la loro preda. Più spesso erano numerose le aggressioni durante i viaggi, e non erano poche le cavalcature e i Cavalieri che non facevano ritorno.
All' uscita del Canale, che collegava i due versanti dei Monti di As, una nuova gigantesca foresta di colore grigio-verde si stese davanti allo sguardo di Jad. Si trattava dei Boschi di Crimelon, al cui centro esatto sorgeva la città di Crimelon, la più grande di tutte le diciotto città di Evulion.
Era ormai buio quando la pulmonaria planò verso le Terrazze di atterraggio della Torre Centrale, una enorme struttura luminosa semisferica con un raggio di quattro chilometri, la cui Guglia si levava centralmente per due chilometri, dividendosi cinquecento metri prima della sommità in quattro punte, chiamate Lame, alla cui intersezione erano sistemate le Terrazze.
Nonostante fosse calata la notte c' era ancora un notevole traffico aereo fra la Torre Centrale e le quattro Torri Minori, copie in miniatura della struttura principale. Fra le Torri Minori e quella Centrale non esistevano strade, come non ne esistevano su tutto il resto del continente. C' erano solo alberi infiniti, che crescevano fitti, stretti l' uno all' altro, sottili e svettanti verso il cielo.
La pulmonaria toccò terra sulle corte e molli zampe ed emise un trillo di sollievo. Jad sorrise e cominciò a slacciarsi, mentre gli addetti alle Terrazze, uomini e donne, con i distintivi cappelli tronco conici rossi accorrevano per aiutarlo, scaricare la merce e accudire la cavalcatura. Un Controllore dei Voli si fece avanti col suo registro, accompagnato da una lieve Musica di note alte e veloci. Jad estrasse il rotolo dei suoi documenti dalla sacca che portava al fianco destro e glieli porse.
-Jad Estrimion, di ritorno dalla Città Lunare con un carico di pietre Shajn-, disse.
Senza nemmeno prendere i documenti che Jad gli porgeva, il Controllore cominciò a cercare tra i fogli del registro fissati alla sua tavoletta. Jad percepì un' alterazione nella sua Musica, e la cosa lo preoccupò.
-Jad Estrimion, della Casa di Eria, della Torre Minore Merecallis?- chiese il Controllore.
-Sì, sono io.
-La Regina ha chiesto di vederti appena tu fossi rientrato. Potrai stendere il rapporto sul volo dopo il colloquio.
Solo a quel punto ritirò i documenti e voltò le spalle a un Jad ora più perplesso che preoccupato. Mentre il Controllore dei Voli si accingeva a verificare i documenti di un altro Cavaliere appena atterrato, Jad cominciò a chiedersi cosa significasse quella convocazione. La Casa di Eria non era imparentata con quella di Susia, la Casa Regnante degli ultimi quattro cicli; e il viaggio che aveva condotto alla Città Lunare non era niente di eccezionale, dato che ne avveniva almeno uno al mese e spesso con carichi ben più preziosi delle pietre Shajn. E poi l' urgenza di quella convocazione, che lo autorizzava a posticipare la stesura del rapporto, la prima cosa che doveva fare un Cavaliere di ritorno da un viaggio. Scuotendosi dallo stupore si incamminò verso il Palazzo Reale, realizzando anche che non avrebbe avuto il tempo di lavarsi e cambiarsi.
Non aveva mai visto la Regina Cayris se non da grandi distanze, e ora era felice di questa convocazione anche per poterne ammirare la tanto decantata bellezza.

Un quarto d' ora dopo era in attesa in una sala del Palazzo Reale, situato proprio sotto le Terrazze. Alle pareti pitturate di verde erano appesi quadri e disegni, rappresentanti studi schematici della trasformazione magica e sviluppo delle uova di esaron in pulmonarie adulte. Al centro della sala, invece, troneggiava un enorme plastico del continente Evulion, con tre penisole sulla costa orientale e una a nord; lo spartiacque dei Monti di As e i boschi che coprivano quasi il novanta per cento della superficie continentale. C' erano anche Crimelon e le altre città, quattro al centro delle foreste, sei nelle penisole orientali, due su quella nordica e cinque disposte sulle coste dell' ovest e del sud.
Jad stava studiando la Regione dei Laghi, situata a nord della Foresta di Visialind, quando entrò un Consigliere, vestito della caratteristica tonaca bianca con la stella dorata sul petto. La sua Musica era bassa e maestosa, lenta e decisa.
-Sei Jad Estrimion della Casa di Eria in Merecallis?- chiese subito dopo essersi chiuso la porta alle spalle.
Jad annuì, scordandosi le buone maniere a causa della delusione, avendo capito che non avrebbe visto la Regina. Il Consigliere comunque non fece caso alla mancanza di Jad e proseguì: -Sono il Consigliere Arion, della Casa di Etera in Crimelon.
"La Regina Cayris mi ha incaricato di scegliere due uomini per una missione molto difficile. Uno dei due che ho scelto sei tu, per le doti che hai dimostrato nella Battaglia del Giorno del Sole Nero e nella Grande Caccia dei suarh.
"Avvicinati al plastico e ti spiegherò la missione che ti attende.
Il Consigliere Arion girò attorno al grande plastico e Jad lo seguì.
-Tre giorni fa è giunto un messaggero dalla città di Trilion.
Automaticamente lo sguardo di Jad andò al plastico, a una piccola torre rossa a nord della Foresta di Visialind, ai margini della Regione dei Laghi e a ridosso del versante ovest dei Monti di As.
-Il messaggero ci ha parlato della scomparsa di alcuni loro Viaggiatori avvenuta da qualche parte fra le valli dei Monti di As, in questa zona dove la Foresta di Pluvion penetra tra i contrafforti del nord.
"Dei Cavalieri mandati a indagare due non sono tornati, mentre gli ultimi non sono riusciti a esplorare i monti. Qualcosa li ha respinti. Nessun nemico o barriera: hanno solo riferito che più avanzavano e più la Musica si faceva debole.
A quel punto il Consigliere si fermò a guardare Jad negli occhi. Riprese a parlare dopo un attimo di silenzio: -A Trilion non hanno Cavalieri che percorrano le rotte per la Città Lunare, è per questo che hanno chiesto il nostro aiuto.
"Conoscerai il tuo compagno domani, quando ti recherai nella Sala dei Giochi Antichi per avere maggiori informazioni. Trovati lì alla terza ora dopo l' alba.
Il Consigliere fece un leggero inchino, a cui Jad rispose con uno più profondo com' era nelle regole, quindi uscì, lasciandolo solo a riflettere davanti al plastico, fin quando un usciere non venne per accompagnarlo fuori del Palazzo Reale.

L' indomani, all' ora prestabilita, Jad si recò nella Sala dei Giochi Antichi, un grande salone posto nei livelli più bassi della cupola cittadina, con una grande vetrata che mostrava le chiome dei contorti alberi di susquanda piene di spighe pendule di fiori viola. Strutture spiraleggianti che fluivano in irregolari muretti curvilinei dividevano il salone in settori di varie dimensioni, lasciando al centro un vasto campo di gioco, le cui linee intrecciate erano state create usando marmi di vari colori.
Appena oltre l' ingresso privo di battenti Jad fu accolto da un altro Cavaliere.
-Sei Jad Estrimion della Casa di Eria?- chiese.
Jad fece cenno di sì, chiedendosi se il Cavaliere che aveva davanti, un giovane biondo la cui Musica era rimbombante e veloce, fosse il suo compagno.
-Vieni. Il tuo compagno è già qui, insieme al Colonnello Saejn.
Il Cavaliere si incamminò e Jad gli andò dietro, fino a un settore a ridosso della vetrata, dove fu fatto avanzare da solo. Ma fece solo un passo prima di fermarsi e irrigidirsi, improvvisamente pieno di rabbia.
Il Colonnello Saejn era un uomo alto e possente, con grandi baffi neri e lunghi capelli chiusi in una coda di cavallo, vestito completamente di rosso. Insieme a lui c' era Assar Mejan, della Casa di Lute. Un Discordante. Assar era solo leggermente più basso del Colonnello, e vestiva completamente di cuoio nero, un colore che nessun abitante di Crimelon avrebbe mai indossato. Nessuno tranne il gruppo dei Discordanti.
-Vieni avanti, Cavaliere Jad-, disse il Colonnello. -So già che fra te e Assar non c' è un buon rapporto. E so anche che ciò non è dovuto alle sue teorie... rivoluzionarie riguardo la Musica-, aggiunse con uno sguardo di rimprovero ad Assar, il quale rispose con un sorriso spavaldo. -Ma per questa volta dovrai accantonare i vecchi dissapori.
Jad trasse un profondo respiro, cercando di allentare la tensione dei muscoli. Solo in quel momento riuscì ad avvertire la Musica dei due: un sordo battito di tamburi pronto a erompere nel ritmo di una carica quella del Colonnello, dura e metallica, graffiante anziché dolce e carezzevole quella che emanava da Assar.
-Sediamoci-, disse il Colonnello, subito seguito da Assar, che scosse i lunghi capelli neri portati sciolti.
Con alcuni secondi di ritardo, e un notevole sforzo, si mosse anche Jad, prendendo posto a destra del Colonnello e di fronte ad Assar .
Dopo un lungo silenzio durante il quale osservò i due, il Colonnello Saejn disse: -Il Consigliere Arion vi ha già esposto per sommi capi qual è la missione affidatavi.
Jad percepì una nota di rimprovero nella voce del Colonnello, che si propagò anche alla sua Musica. Si rese conto che era rivolta a lui, che sedeva teso covando la sua rabbia, al contrario di Assar, apparentemente tranquillo e privo di rancori. Con un profondo respiro cercò di calmarsi.
-Questa è la rappresentazione della zona dei Monti di As in cui i Viaggiatori di Trilion e le loro merci sono scomparsi.
Jad concentrò tutta la sua attenzione sul plastico posto sul tavolo, più che altro per distoglierla da Assar.
-E' il punto più basso della catena, con molte valli, per lo più piccole, ma ve ne sono anche di grandi che racchiudono pianure percorse da fiumi. Trilion non trae da quelle zone nessun prodotto, ma è la via più comoda per comunicare con le città delle penisole orientali e anche la meno pericolosa. Fino a poco tempo fa, per lo meno.
"Ora è impercorribile. Nessuno sa perché. Dei molti che hanno provato a percorrerla la maggior parte non è tornata, mentre alcuni non sono neppure riusciti ad addentrarsi nella zona.
"Questi ultimi hanno parlato di un' attenuazione della Musica, e data la vostra esperienza nello Spazio, che è privo di Musica, siete stati scelti per scoprire cosa sta accadendo in quelle valli.
"Potrete scegliere l' equipaggiamento che volete. Per questa missione siete autorizzati a rifornirvi anche nelle Forniture Militari, e le Voliere Reali sono a vostra disposizione con gli animali migliori. Vi saranno dati un cristallo-mappa e un cristallo-protezione, per il resto sceglierete voi. La partenza è fissata per l' alba di dopo domani. Avete tempo fino ad allora per preparare l' equipaggiamento e studiare il percorso. I dati a nostra disposizione sono tutti in questo cristallo-visivo-, disse il Colonnello allungando un cristallo sottile e azzurrognolo sul tavolo, in mezzo ai due. -Ci sono domande?
-Sì-, intervenne Assar. -Quanto tempo abbiamo per concludere la missione?
-Per giungere sulla regione occorrono tre giorni. Perciò, oltre i sei del viaggio, avrete cinque giorni per le ricerche. Undici in tutto, dopo di che, a meno che non raggiungiate Trilion, sarete considerati morti.
Jad e Assar annuirono. Essere ritenuti morti equivaleva ad esserlo, dato che il proprio Liquido della Vita, cui veniva unita l' anima di ogni abitante di Evulion al momento della nascita, veniva versato, e a quel punto nessuno poteva sopravvivere se non si trovava nell' area di protezione magica di una cattedrale cittadina. Era un rito antichissimo, tanto che l' origine era stata dimenticata, creato per impedire atroci sofferenze a chi fosse caduto preda di qualche creatura parassita o degli Inumani, coloro che abitavano Evulion prima che venissero erette le diciotto Torri.
Il Colonnello li fissò interrogativamente a turno.
-Bene. Avete carta bianca, preparatevi come meglio credete.
Detto ciò si alzò e li lasciò soli. Anche Jad si alzò, ma Assar lo fermò.
-Aspetta. Voglio parlarti.
-Non abbiamo nulla da dirci-, rispose Jad senza neppure voltarsi. -Manda il cristallo-visivo nei miei alloggi non appena lo avrai visionato.- E se ne andò.

All' alba del giorno fissato per la partenza Jad e Assar si ritrovarono alle Terrazze di decollo, nel settore riservato ai militari. Jad non aveva voluto sentire ragioni e si era preparato al viaggio da solo, così che anche Assar era stato costretto a fare lo stesso. E che i due non si fossero minimamente consultati risultava evidente dalla scelta dell' equipaggiamento, a parte il fatto che Jad cavalcava una pulmonaria e Assar un esar, una mutazione mal riuscita degli esaron in pulmonarie. Sanguinarie e riottose, quelle bestie erano state scelte dai Discordanti per pattugliare lo Spazio quando alla luna si sostituivano gli asteroidi del gruppo Camelan, da cui spesso scendevano creature estremamente pericolose in cerca di preda.
Il Colonnello Saejn notò la discrepanza nella preparazione dei due ma tacque. Accanto a lui c' erano il Consigliere Arion e l' Alto Prelato Maeljn, Primo Custode della Cattedrale della Vita, che si fece avanti per impartire a Jad e Assar la sua benedizione. Jad lo fissò intensamente, mentre gli accostava alle labbra la fiala contenente Liquido della Vita, pensando che sarebbe stato lui, di lì a undici giorni, nel caso non fosse ancora tornato, a ucciderlo rovesciando il Liquido a lui assegnato nella Pozza della Nascita. Poi sorrise quando Maeljn passò ad Assar e l' esar per poco non lo morse.
Terminata la cerimonia della benedizione rimasero in attesa dell' alba, e quando la Stella del Giorno comparve oltre i rilievi boscosi il Guardiano dei Voli diede fiato al suo corno. E mentre ancora l' ultima nota riecheggiava sopra le chiome degli alberi, il Controllore dei Voli sventolò per una volta la sua bandiera bianca e Jad e Assar presero il volo.

Assar volava più avanti, Jad fissava la sua schiena diritta: non se ne era reso conto fino a due giorni prima, quando lo aveva rivisto dopo otto mesi, ma lo odiava. Lasciò vagare i ricordi.
Era appena partito per dare la caccia ai suarh, il penultimo giorno di quella che fu chiamata la Grande Caccia, quando lui uccise il più grande suarh che avesse strisciato su Evulion. Aveva voltato la pulmonaria, abbandonando la formazione, ignorando i compagni che gli gridavano vigliacco; la folla sulle Terrazze aveva ripreso il grido dei cacciatori. Era avvampato in volto, ma aveva proseguito. Era a meno di un chilometro dalla Torre quando aveva scagliato la sua freccia. Il suarh si era sollevato con un grido quasi umano, e questa volta le urla dalle Terrazze erano state di paura, mentre il mostro, nel solo atto di sollevarsi, aveva abbattuto decine di alberi. Nessuno lo aveva visto strisciare verso la città, solo lui se ne era accorto.
Aveva evitato le quattro braccia protese e aveva mirato al viso che i suarh hanno sulla parte inferiore del loro corpo di bruco, e quando lo aveva straziato con tutte le sue frecce, aveva sfondato gli occhi da insetto della testa superiore, colpendoli con la sciabola. Una volta accecato, il suarh era rimasto immobile, e lui gli aveva trafitto il cuore con la lancia. Tutto questo prima che gli altri cacciatori arrivassero ad aiutarlo, e dalla città tutti avevano visto.
Non c' erano stati festeggiamenti né la consegna di onorificenze, perché non era l' uso dei crimeloniani. Ma si era messo in luce agli occhi di molte donne, fra cui la bellissima Krinilien.
Krinilien era rimasta con lui per nove mesi, poi si era fatto avanti Assar. In principio ne aveva riso: come poteva una donna come Krinilien anche solo prendere in considerazione un Discordante? Quando la corte di Assar si era protratta senza che Krinilien lo respingesse, ma all' apparenza addirittura incoraggiandolo, aveva detto a se stesso che lei voleva farlo ingelosire. Poi lei lo aveva lasciato per andare con Assar.
Era stato allora che aveva cominciato a odiare il Discordante e la sua diversità, insieme a tutto ciò che usciva dalla conformità. Come era possibile che un uomo tale, quasi un reietto, tollerato solo per la sua utilità in un lavoro che pochi volevano fare, avesse potuto portargli via la donna?

Si accamparono per la notte su un Pinnacolo, una grande pietra svasata e piatta alla sommità, molto più alta degli alberi e protetta da una debole magia in grado di respingere le più piccole minacce delle foreste, posta con molte altre in epoche remote per permettere a Cavalieri e Viaggiatori di riposare in sicurezza durante gli spostamenti fra una Torre e l' altra.
Le ore di buio si trascinarono lente nei turni di guardia, silenziose, scomparendo infine contro voglia al sorgere della Stella Diurna. Si rimisero in viaggio senza una parola né uno sguardo, e volarono sopra gli ultimi alberi dei Boschi di Crimelon. Osservarono una colonia di Termiti di Ferro abbattere gli alberi sul loro cammino, rodendone i tronchi fino a ridurli segatura. Poi oltrepassarono il fiume Quelion e furono sopra la Foresta di Pluvion. Piano piano il paesaggio cambiò: gli alberi si fecero ancora più grandi e fitti, alcuni erano cresciuti con forme strane, strisciando sopra i rami degli altri alberi. Queste strade arboree, larghe parecchi metri, erano percorse da un' infinità di animali, e a volte avevano vicino un villaggio di Inumani. Aumentarono i fiumi e i torrenti, e qua e là la foresta si apriva intorno a un lago, a speroni rocciosi o enormi termitai.
Verso il calare della seconda sera scoprirono con sgomento che il Pinnacolo su cui intendevano fermarsi era stato occupato. Una tribù di Inumani vi aveva eretto a ridosso la loro città, tanto alta che l' avrebbero avvistata molti chilometri prima se non fosse stata velata di nebbia e nubi. Gru e carrucole opera dei Giganti, manovrate con corde di liane intrecciate spesse quanto il torace di un uomo, avevano sollevato tronchi simili a torri, scavati fin nel cuore, che erano stati legati insieme in una stretta piramide che sfidava il cielo.
Il suono dei corni disse a Jad e Assar che erano stati avvistati. Poco dopo un nugolo di creature nere si levò in volo dalla cima di uno dei tronchi per dare loro la caccia, e ben presto i due si resero conto che i volatili degli Inumani erano più veloci delle loro cavalcature affaticate. Anche nell' aria che imbruniva riuscivano a distinguere i cavalieri, esseri massicci e pelosi, che indossavano armature e placche di metallo e orride maschere colorate, agitando lance terminanti in aguzzi uncini.
-Dobbiamo nasconderci fra gli alberi-, urlò Assar.
Jad fece cenno di aver capito e si gettò in picchiata fra i rami. Scesero fino al livello del suolo e dopo poco si fermarono su una collinetta coperta di aghi bruni. Intorno a loro gli spazi fra i tronchi erano vastissimi. Udirono lo sciame all' inseguimento oltrepassarli, allora ripresero a volare fra i tronchi, allontanandosi in direzione dei monti. Fra i cespugli enormi centozampe avanzavano scricchiolando, e le prime grandi falene baluginanti di luce propria sbattevano aritmicamente le ali spandendo una polverina argentea. Quando ritennero di essersi allontanati a sufficienza risalirono, per scoprire che era ormai calata la notte, e solo la presenza di insetti e piante fluorescenti aveva creato un po' di visibilità nel sottobosco.
Appollaiati su un grande ramo, Assar parlò: -La tua pulmonaria può trovare il prossimo Pinnacolo anche al buio. Io ti seguirò.
-Non sappiamo quanto disti: non ricordo la mappa.
-Basta guardare
-La luce del cristallo-mappa può attirare i nostri nemici. E poi volare di notte è troppo rischioso: non vedremmo avvicinarsi il pericolo.
"Cerchiamo rifugio fra i rami di questo albero e all' alba ripartiremo.
-D' accordo.
Fecero strisciare le loro cavalcature sul ramo fino al tronco, dove trovarono uno spazio fra due rami: lì erano protetti da tre direzioni su sei, e nel buio non potevano sperare di trovare di meglio.
Improvvisamente udirono il battito di ali membranose avvicinarsi. Immobili, trattenendo il respiro e con le frecce incoccate, rimasero a guardare l' Inumano e la sua cavalcatura simile a un pipistrello passare sotto di loro, per poi invertire il volo e posarsi sul loro stesso ramo. La creatura chiuse le ali e si rattrappì su se stessa: la udivano emettere il respiro in rantoli ansanti e aspirarlo raschiando, mentre i fianchi si sgonfiavano e gonfiavano e un occhio rosso con tre piccole iridi nere unite da una membrana lattea si muoveva in qua e là. Sulla sella l' essere scimmiesco e ingobbito si sporgeva in varie direzioni per frugare le ombre sempre più fitte, muovendo a scatti la testa. Dopo un tempo indefinito dilatato dalla paura sollevò la lancia al cielo, lanciò un urlo feroce e riprese il volo, scomparendo per sempre nella notte.

All' alba ripresero il volo. Avrebbero voluto percorrere molta strada sotto gli alberi, ma la foresta si era animata di vita e grandi tele di insetto cadevano dai rami come pesanti drappi, così che furono costretti a levarsi sopra le cime degli alberi. Ma la città degli Inumani era ancora pericolosamente vicina per alzarsi oltre un volo radente gli alberi, il cui fogliame nascondeva pericoli e insidie. Una volta Assar scoccò una freccia, contro qualcosa che non ebbero il tempo di riconoscere, e Jad abbatté un lemure carnivoro, mettendo in fuga poco dopo un enorme insetto dal carapace rossiccio. Ma quando videro strisciare al suolo un mostruoso suarh si alzarono subito fuori della sua portata, incuranti della gigantesca città inumana. Udirono risuonare i corni di allarme, e videro il nugolo di mostri cacciatori levarsi in volo. Ma quando si voltarono la volta successiva gli Inumani avevano già rinunciato.
Dopo quella notte di paura raggiunsero il fiume Pluveon, il più grande corso d' acqua della regione, il cui letto tagliava sinuosamente la foresta dividendosi sulle rive di numerose isole di fango e detriti vegetali, dove le piante crescevano in sgargianti colori contro lo sfondo bruno delle acque limose. Le sponde del fiume erano costellate di insenature, foci di fiumi minori, acquitrini e penisole, e spesso gli alberi si aprivano in radure di un verde chiaro o scomparivano sommersi da rampicanti dai fiori colorati intensamente di rosso, giallo, viola e cremisi, o più raramente di un bianco roseo. Qua e là, in assenza di vento, agitavano le loro chiome tentacolari i niveh, gli alberi-animale, piante carnivore che emanavano profumi dolciastri e inebrianti. Un gruppo di quelle creature era chino su un grosso mammifero grigio con un corno in mezzo alla fronte, che col fianco già in parte divorato cercava ancora di liberarsi dai tentacoli.
Avevano già risalito un lungo tratto del fiume quando, dal suo nido di rami secchi e fango, interrato in parte nella riva fangosa, si levò in volo un avvoltoio delle rocce, un enorme uccello rettile, dalla carne grigia e il becco rosso e dentato. Assar gli scoccò una freccia che non riuscì a penetrarne la pelle coriacea.
-Possiamo solo fuggire-, urlò Jad, che di ritorno dalla Città Lunare aveva già affrontato mostri del genere.
I due Cavalieri si lanciarono in picchiata in direzioni opposte, disorientando l' avvoltoio. Si riunirono sul fiume molto più a monte, e a quel punto l' avvoltoio si lanciò all' inseguimento.
-Dobbiamo uscire dal suo territorio-, urlò Jad. -Allora smetterà di inseguirci!
L' avvoltoio si fece pericolosamente vicino, costringendoli nuovamente a dividersi. Si lanciarono in volo sopra le due sponde, e dopo un attimo di esitazione l' uccello-rettile inseguì Assar, guadagnando rapidamente sul suo esar. Il mostro aveva già iniziato a levarsi più in alto per artigliarlo quando fu colpito dolorosamente su un' ala. Si girò e un nuovo colpo lo centrò sul collo. Con uno stridio di rabbia deviò verso Jad.
All' orizzonte si levavano le forme azzurrognole dei Monti di As, velati di nebbia. Al nord si addensavano nere nubi di tempesta e si potevano vedere i lampi crepitare incendiando gli alberi. Jad e Assar fuggirono dall' avvoltoio per molti chilometri, distraendolo a turno. Infine, quando quasi aveva preso Assar per l' ennesima volta, questi gli liberò sul muso delle Spore di Fule che lo accecarono. Grazie al tempo così guadagnato riuscirono ad uscire dal suo territorio.

Il mattino successivo penetrarono i primi contrafforti montuosi, accolti da una pioggia torrenziale che si perdeva tra le chiome degli alberi. Il sole riapparve solo dopo un' ora, quando le nubi furono sospinte via dal vento. Fu a quel punto che Jad avvertì l' attenuarsi della Musica. Solo in maniera a malapena percettibile, ma fu sufficiente a far nascere in lui un senso di angosciosa attesa. Un' occhiata ad Assar gli rivelò che il Discordante non si era accorto di niente. Un sorriso di soddisfazione gli storse la bocca.
Ben presto la foresta andò diradandosi, mentre il Pluveon si rimpiccioliva e il suo corso si faceva più tortuoso. Le rocce e ampie zone di terra spoglia cominciarono a emergere dal verde. Infine il paesaggio fu dominato dalla roccia, e solo qua e là chiazze di alberi piccoli ed esili riuscivano a crescere.
Un chilometro oltre il confine della foresta trovarono un villaggio di case di pietra abitato da Inumani. Un ponte univa le rive del fiume, lungo cui si stendevano i campi coltivati, al cui margine erano ammassate le case protette da un muro di pietra. Un muro un poco più basso recintava un piccolo cimitero in cui i morti venivano coperti di pietre. Gli abitanti osservarono timorosi il passaggio dei due Cavalieri, mentre le vedette appostate su alte colonne di pietra tenevano pronte le balestre.
Oltre il villaggio degli Inumani trovarono una gigantesca città costruita nella pietra rossa della montagna. Le porte della città erano custodite da dieci colonne scolpite in forma di uomini e donne, che sorreggevano il fianco della montagna. La città era vuota, e non si sapeva chi l' avesse scavata nel monte.
Quanto più si addentravano nelle montagne tanto più il paesaggio si caricava di violenza, con torrenti di fango che scorrevano nelle fratte, monoliti e speroni e guglie naturali che si ergevano come chiodi piantati da un dio. Frenetici si muovevano per i crinali i Rocciosi, umanoidi coperti di rocce e sassi, azzuffandosi fra di loro con urla e schiamazzi.
Ormai Jad avvertiva una profonda sofferenza vicino al cuore. In generale la Musica si era attenuata, ma in qua e là vi erano dei veri e propri vuoti. Anche Assar accusava l' attenuazione della Musica. All' improvviso i due animali attivarono la magia che li teneva in vita nello Spazio. Jad trasse un sospiro, ma non ne ebbe molta soddisfazione. Un senso di affaticamento rimase a gravargli il petto e il respiro. Spaventato si girò a guardare Assar, ma il Discordante sedeva in sella con un' espressione rilassata in viso.
Il volo procedette sempre più lento, via via che la pulmonaria e l' esar si stancavano. Sul far della sera Assar avvicinò il suo animale a quello di Jad.
-Laggiù vedo il Pinnacolo-, urlò per sovrastare il vento. -Non procediamo oltre.
"Che hai? Ti senti male?
Jad con le spalle accasciate, alzò il volto cinereo per guardare Assar. Il Discordante non disse nulla, ma per tutto il tempo che impiegarono a raggiungere il Pinnacolo rimase vicino alla sua pulmonaria.
Una volta atterrati accese il fuoco, mise acqua e cibo a riscaldare, e dopo aver preparato per la notte le cavalcature le sistemò ai lati del bivacco, così che le due bolle magiche si sovrapponessero.
Solo quando fu tutto a posto andò a sedersi davanti a Jad.
-Cosa ti succede?- chiese.
Jad scosse la testa. -Il Silenzio-, sussurrò.
-Non è possibile. Quando vai alla Città Lunare resti nello Spazio per due giorni. E' troppo presto perché tu sia ridotto così.
-No, è il Silenzio. Qui è diverso: lo sento nel cuore.
-Nel cuore?- Assar scosse il capo. -Non capisco.
-Neanche io.
Mangiarono senza parlare, poi si misero a dormire. Jad non ci riuscì: rimase disteso immobile, respirando a fatica, rabbrividendo nonostante il fuoco perché il freddo gli veniva da dentro.
Nelle ore grigie che precedono l' alba un brusio sommesso si levò dal suolo: ticchettii, sussurri e lievi sfregamenti. Quando infine ci fu luce sufficiente videro una nera massa di scarafaggi sciamare intorno alla base del Pinnacolo. Avevano riempito interamente la stretta valle, arrampicandosi anche sui suoi fianchi rocciosi, e procedevano verso il fiume. Osservando meglio Assar vide che gli scarafaggi erano anche sull' altra riva del corso d' acqua.
-Andiamo-, disse, e Jad si alzò stancamente.
Da quel momento in poi fu come volare in un fluido sempre più denso: non solo la Musica era quasi scomparsa, ma anche i normali rumori sembravano essersi attenuati. Per Assar era uno sforzo continuo, mentre Jad provava un malessere sempre più forte, che oltre al respiro gli toglieva anche le forze.
Poi giunsero al centro del Silenzio. Aggirarono uno sperone montuoso e lo videro. Lì tutto taceva. Planarono su una cresta, in un punto da cui godevano di un panorama di svariati chilometri, e rimasero ammutoliti a contemplare uno spettacolo che su tutto Evulion non si era mai visto.
Davanti a loro si stendeva un' ampia valle, posta molto in alto fra montagne i cui crinali digradavano dolcemente. Era completamente bianca: qualcosa l' aveva imbiancata coprendola di una spessa coltre, depositandosi sull' erba, le rocce, i cespugli e anche sugli alberi. Solo i corsi d' acqua erano in parte liberi.
-Che cos' è?- chiese Jad.
-Non lo so. Guarda! Cade dal cielo.
Jad annuì, osservando i piccoli punti bianchi scendere lentamente dal cielo grigio.
-Sento il freddo da qui-, disse il Discordante.
-Andiamo.- Senza attendere oltre Jad spinse avanti la pulmonaria, e un quarto d' ora dopo atterrarono ai margini della coltre bianca.
Silenzio e freddo. C' era solo questo nella valle fra i monti. Jad rabbrividì, osservando la lentezza con cui i piccoli batuffoli bianchi scendevano in larghe spirali. Tutto era immobile, nel paesaggio.
Colto da un impulso improvviso si sganciò dalla sella e scese, uscendo dalla sfera magica protettiva della pulmonaria, ed avanzò nel bianco. Fece due passi, sprofondando fino al ginocchio, e un forte dolore lo colse al cuore, come spilli infissi nella carne. Gli sembrò che il sangue si raffreddasse e scorresse più lento, mentre esalava un rantolo che si condensò in vapore. Stringendosi il petto con una mano sporse l' altra in avanti, col palmo rivolto in alto, gli occhi sgranati che seguivano la danza cadente dei fiocchi bianchi. Alcuni si posarono sulla sua mano nuda e si sciolsero, bagnandolo.
-E' acqua.
Dopo un poco la sua mano si raffreddò e i fiocchi smisero di sciogliersi. Gli si stavano accumulando anche sul braccio proteso, sulle spalle e nei capelli.
Silenzio e freddo. Fuori e dentro. Diversi ma simili. Jad si volse verso Assar e lo vide osservarlo preoccupato. Tornò a contemplare la silenziosa distesa bianca. Il candore lo confondeva, dandogli il capogiro.
Intimamente collegati, si disse, ma indipendenti uno dall' altro. Mentre si voltava per tornare alla pulmonaria una nuova fitta gli straziò il cuore: un ginocchio gli si piegò, e Assar disse qualcosa, preoccupato, mentre cercava di slacciarsi dalla sella. Jad lo fermò con un gesto mentre si rialzava. Montò in sella e poco dopo ripresero il volo. Quando si fermarono a terra Assar lo interrogò sul significato di ciò che avevano visto, ma Jad si rifiutò di parlare.
-E' presto, non me la sento. Te lo dirò prima di arrivare a Crimelon.

Il giorno seguente volarono sulla scia di devastazione provocata dagli scarafaggi. Neanche il paese degli Inumani era stato risparmiato: i campi erano stati distrutti e divorati, nelle tombe rocciose il brulichio era visibile anche dal cielo, le case ne straripavano. Sparsi qua e la, nei campi e nelle strade, vi erano anche alcuni cadaveri, uccisi dalla follia provocata dalla paura. Gli abitanti sopravvissuti erano raccolti lontano dalle case, anche se il grosso dello sciame di scarafaggi era ormai lontano, e quando videro i due Cavalieri cominciarono a urlare, indicandoli e lanciando quelle che erano chiaramente delle maledizioni.
Improvvisamente il cielo fu pieno di urla agghiaccianti e del suono di un corno. Jad e Assar si ritrovarono circondati di Inumani e delle loro cavalcature nere. Erano simili ai guerrieri della città nella foresta, e forse erano gli stessi. Alcune frecce furono scagliate, e una si conficcò nel fianco della pulmonaria di Jad. Non avendo altre vie di fuga invertirono la rotta, mentre gli Inumani li inseguivano in formazione sparsa. Tesero gli archi e scoccarono delle frecce: uno dei guerrieri morì con un grido, una cavalcatura ferita planò verso il fiume.
Ben prestò, però, la pulmonaria ferita cominciò a rimanere indietro.
-Nella città!- urlò Assar.
Piegarono verso la città morta e atterrarono fra le colonne alte dieci metri, abbandonando le cavalcature e fuggendo nelle sale polverose. Gli Inumani lasciarono anch' essi i loro mostri alati e inseguirono Jad e Assar. La pulmonaria fu attaccata e sbranata dalle creature senza che nemmeno tentasse di scappare, mentre l' esar di Assar si difese con ferocia, uccise uno degli animali e si ritrasse nella città, celandosi nel buio in attesa che tornasse il suo padrone.
I due Cavalieri giunsero in un salone circolare al cui centro c' era un pozzo chiuso da un coperchio di ferro. La luce cadeva da alcuni lucernari, schiarendo le ombre impigliate fra esili colonne rosse e mostrando la devastazione di un' antica lotta. Le grandi porte abbattute, frecce e lance spezzate, uno scudo infranto. Qua e là alcuni scheletri, di uomini altissimi, chiusi in armature coperte di polvere e ragnatele, corrose dalla ruggine. Jad si fermò a osservare uno dei caduti, appoggiato alla parete, il cui intonaco si era staccato da tempo. Era tanto più alto di lui che con la testa gli arrivava appena al petto. Il petto trafitto di frecce.
Improvvisamente gli Inumani irruppero attraverso i battenti sfondati. Sfoderate le sciabole, Jad e Assar li caricarono, ricacciandoli indietro. Nella mischia un colpo di mazza incrinò lo scudo di Jad, e una lancia uncinata lo arpionò. L' Inumano torse l' arma e lo scudo si spaccò in due. Jad tagliò la lancia con un colpo di sciabola ed uccise il guerriero, poi si liberò dello scudo ormai inutile.
A quel punto la schiera di Inumani si divise, e oltre di essa si poterono vedere gli arcieri. Assar si protesse dietro lo scudo, ma Jad fu colpito al petto da molte frecce. L' impatto fu così violento che barcollò all' indietro fino a colpire con la schiena il bordo del pozzo. Un urlo di gioia rabbiosa si levò dagli Inumani, che vedendo Jad cadere si lanciarono su Assar.
Jad ingoiò il sangue che gli era salito in bocca. Afferrò le frecce con la mano sinistra e le spezzò. Urlò e il combattimento si fermò, mentre tutti guardavano lui che teneva le aste spezzate nel pugno levato. Gettò via le frecce e caricò gridando, impugnando a due mani la spada. Quando si abbatté sulla schiera di Inumani il loro coraggio cedette e fuggirono. Jad li inseguì fino alle porte, continuando a uccidere, poi si fermò. Le urla di paura si allontanarono nella fuga e tacquero.
Con un sospiro Jad si lasciò cadere. Fu trattenuto da Assar, che lo afferrò da dietro, distendendolo gentilmente. Il Discordante vide con orrore il cuoio dell' armatura farsi più scuro intorno alle frecce spezzate.
-Non ti muovere...- iniziò a dire Assar, ma fu zittito.
-Taci e ascolta. Quella valle non è il vero pericolo. Non so cosa vi stia accadendo, ma non è un pericolo. Il Silenzio era già nel mio cuore, la valle lo ha solo amplificato.
"Stiamo dimenticando il vero significato della Musica: molti di noi hanno il Silenzio dentro.
Assar annuì, aveva capito. -Volevo dirtelo prima di partire: Krinilien mi lasciò dopo due mesi per sposare il figlio di un Consigliere.
Jad sorrise amaramente e morì.

Assar lo distese sul coperchio del pozzo come fosse un catafalco. Gli incrociò le braccia, la sciabola nella destra e le frecce spezzate nella sinistra; lo scudo infranto lo pose ai suoi piedi, e alla base del pozzo ammucchiò le maschere da guerra e le armi dei nemici abbattuti, mentre i cadaveri li trascinò lontano in un corridoio buio.
Tornato nella grande sala dispose gli antichi guerrieri tutti intorno a Jad, appoggiati alle colonne perché rimanessero in piedi, come a fare la guardia in una veglia funebre.
-Vegliate il mio amico, antichi guerrieri-, sussurrò alla polvere e alle ombre. -Dimenticate ciò che vi divise in vita, ora la morte vi ha tutti riuniti.
Risollevò le porte e le puntellò così da bloccarle, poi prese la propria spada e vi incise le parole di un epitaffio:

QUI MORI' COMBATTENDO UN GRANDE CAVALIERE
E ORA VI RIPOSA IN PACE,
LA PACE DI CHI HA COMPRESO UNO
DEI MISTERI DELLA VITA ;
LE OMBRE LO VEGLIANO SILENZIOSE
E GLI SPIRITI FANNO DA GUARDIANI AL SUO
SONNO:
                                         MALEDETTO CHI VIOLERA' QUESTA TOMBA


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